testo critico su Lidia Bagnoli inerente la mostra ''Lascia un Segno'' presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna

 

Prenderà un piccolo telaio di carta tra le mani, ne farà uno spazio disegnato a carboncino, conterrà nella sua superficie l'immagine ritagliata dal contorno di un abbaino. Nella sua circoscrizione l'emergere di un fotogramma metropolitano, un negativo sviluppato all'imbrunire, un'eliografia stampata d'evanescenza. Un fondale o una pellicola ? Un passepartout o un boccascena ? Il perimetro o il confine ? Il suo ritaglio è un grafema urbano, una cornice che comprime la realtà, è un recinto d'incisione, uno scenario ed un grandangolo della visione. È la camera oscura, uno squarcio panoramico, è l'orizzonte su pergamena. Nel suo spazio nebbia nell'etere, comignoli a getto continuo, sequenze fumé. E' il mondo sfumato a monocromia, la tetra prospettiva, refolo relegato nello sfondo di una cartolina. E' il diario scritto con inchiostro nero, è un taglio arso di petrolio, tinto di corvino, è la chiave di volta delle sovrapposizioni degli elementi di una veduta. E' un'ombra scandagliata, un ritratto a combustione delle costruzioni, è il risuono di una rotaia, il riverbero di una folle città, l'eco e l'oblio del frastuono. E' un passo di un capitolo dove la visione di ciminiere verticali e distese di catrame orizzontale tagliano il foglio, tratteggiano di fuliggine il supporto, sono tracciati nell'estensione dell'atmosfera, uno zoom sullo scenario apocalittico vestito di nero. È teatro metropolitano, panorama cittadino e fotografia antropica, schizzo ed abbozzo, disegno e scrittura, è il movimento e la stasi dell'esperire la percezione. Nelle sue linee gamme di grigio, intense rette spatolate a carbone, segmenti sfumati tra i cretti, fughe tinte di tizzoni e crete antracite. E' il dizionario di un'estemporanea immagine cittadina, la geografia dell'incastro tra metallo e cemento armato, baricentro tra lembi di piazze e tetti adombrati, bivi e confini immersi nei rombi e nei boati, sono le ceneri sospese in un fermo immagine, le polveri di suoni e di silenzi di una stazione, pura metafisica priva di attese e di ritorni.