recensione critica della mostra di Silvia Ballarin presso l'Ina Assitalia, Bologna - 05/11/2010

Drin! Drin! Drin! Nessuno risponde… risuono il campanello. Silvia fa capolino, apre e trapassando l’uscio mi accompagna nei suoi interni. Imperturbabile mi osserva, siede senza annuire. Nei suoi occhi la scrittura di un racconto di pittura: dipinge la sua storia, pura contemplazione, un incontro, un’istantanea odierna, distonia descrittiva, geroglifico moderno. Questo viaggio muove dalla pittura, la silente austerità le fa da padrona e il colore non sembra smentirla. Sussurra la sua arte, metafisica visione, intima allucinazione. Balza a prendere la tela, la dipinge. Silvia bilancia, con attenzione scruta, si volta, e poi riguarda: scorge la tradizione, l’eco del passato prossimo. Il silenzio è evocato, muta comunicazione: Silvia telegramma! Ma chi è Silvia, quali le sue tele? Silvia in una stanza, l’intimità. Silvia isolata, di rare e smentite comparse. Silvia congettura, la stanza perversa del tempo. Lancette, frequenze, scansioni: dittico o prospettico? Fronte del retro? Trinità o quadrata visione? Una vicenda, ridondante di parole assenti, oggetti trasposti, incarnazione di dialoghi muti, di luoghi dell’io, dell’astensione altrui. È una trama dove l’oggetto viene dipinto dalla mente, pura narrazione. Silvia disegna la reale apparenza della blasfema finzione. Lo spazio pare assente, è una bozza. Tra le fughe delle mattonelle si dipartono fughe nel quotidiano: proiezioni. Silvia e dintorni, Silvia capo-giro, e poi un altro! Seduta ritta, voltata, assorta, in contemplazione, tacitamente Silvia. Sulle note degli stadi pittorici, parla sola, pensa ad alta voce: circostanza. Silvia ascolta, non parla, comunica sola, è seduta e presente. Attraverso le cerniere delle tele, cornici e perimetri di ambienti. Nel frattempo la porta si è chiusa, il campanello suona ancora, questa volta è il mio. Rispondo, ma solo quiete, controllo la posta e aprendo la busta: vernice di una mostra… sacri ossequi Silvia!